Abstract della relazione svolta dall' Avv. De Valeri al convegno organizzato con AS.SI.DA.L, FIRAS-SPP ed E.B.A.Fo.S "La Salute e la sicurezza nel 2016. Dal Jobs Act a O.I.R.A." Montesilvano 4 marzo 2016.
Il datore di lavoro in base alle statuizioni dell’art. 2087 codice civile per cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare
nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro “, dal T.U. D. Lgs. 81/08 e dalla ulteriore normativa antinfortunistica è
costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della
personalità morale dei prestatori di lavoro per cui, qualora non ottemperi agli
obblighi di tutela, l'evento lesivo che dovesse verificarsi ai danni del
lavoratore o di terzi gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40, comma 2, codice penale che prevede
“non impedire un evento, che si ha
l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Il datore di lavoro pertanto ha il dovere di
accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e che il lavoratore possa
prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando che le
condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata
l'opera.
Nel 2016, tenuto conto dell’incremento degli
infortuni sul lavoro verificatosi nel 2015 dopo anni in cui si era riscontrato
un trend positivo, sembra lecito
chiedersi quale importanza venga data dagli imprenditori-datori di lavoro al
rispetto delle norme sulla sicurezza in azienda dopo che sei anni fa la legge 123/2007 ha inserito con l’art. 25 septies nel D. Lgs. 231/01 le
fattispecie di omicidio colposo e le
lesioni personali colpose commesse in violazione della normativa a tutela della
sicurezza sul lavoro tra i reati presupposto in materia di
responsabilità amministrativa degli enti.
E ancora… tenuto conto del disposto dell’art. 18 lettera f del T.U. Salute e Sicurezza
sul lavoro che tra gli obblighi del datore indica espressamente “richiedere l’osservanza da parte dei singoli
lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di
sicurezza e igiene del lavoro…” quanti imprenditori hanno inserito nel
codice disciplinare tra le infrazioni contestabili ai dipendenti il mancato uso
dei dispositivi di protezione individuale previsti dall’art. 74 del T.U. ?
Sottolineo a questo proposito che il datore di
lavoro dovrà attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in
modo sicuro, premurandosi che i dipendenti adottino le misure tecniche ed
organizzative opportune per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività
lavorativa.
Il datore
di lavoro deve, anche nel suo interesse, adottare tutte le misure idonee a
prevenire sia i rischi insiti all'ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da
fattori esterni propri del luogo in cui si trova l’azienda.
La
sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale, art. 32 e 41 Cost., che imporrebbe al datore di
anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.
Ma le prescrizioni dell’art. 2087 c.c.
riguardano esclusivamente il lavoratore che gode di un contratto di lavoro
subordinato ?
La Corte di Cassazione aveva affermato che tale
precetto riguardava esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato,
presupponendo l'inserimento del prestatore di lavoro nell'impresa del soggetto
destinatario della prestazione (Cass. n.
9614 del 16/07/2001, n. 8522 del 2004 n. 7128 del 21/03/2013).
Successivamente con alcune decisioni pubblicate dal
2009 il giudice di legittimità ha precisato che la predisposizione di un ambiente salubre ed esente da rischi
costituisce a carico dell’imprenditore un obbligo anche nei confronti del
collaboratore coordinato che per l’esecuzione del contratto debba operare
all'interno dell’impresa.
Da questo
assunto si evince a carico del datore una responsabilità civile di natura
contrattuale oltre che una possibile responsabilità penale qualora si
configurino ipotesi di reato (Cass.
pen., n. 35534 del 14/05/2015, n. 42465 del 09/07/2010, n. 37840 del
01/07/2009).
L’obbligo in questione a carico del datore è
disciplinato a livello normativo, considerato che l’art. 66 comma 4 del D.lgs. n. 276 del 2003, legge Biagi,
prevedeva che, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di
lavoro del committente al lavoratore a
progetto si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui
al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive integrazioni.
La disposizione è stata abrogata dall'art. 52
comma 1 del D.Lgs n. 81 del 2015 (decreto
attuativo del Jobs Act) ma l'art. 2
prevede che per i rapporti stipulati a far data dal primo gennaio 2016, si
applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche con riferimento
alla normativa di prevenzione degli infortuni per i rapporti di collaborazione
che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali,
continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente
anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Il
datore di lavoro è sempre responsabile qualora si verifichi un infortunio sul
lavoro ?
La Cassazione
civile sezione lavoro con la sentenza
n. 25395 del 17 novembre 2015, confermando una precedente decisione, Cass.
Lavoro n. 1312/2014, ha espresso il seguente principio di diritto:
“Ai fini
dell’applicazione dell’art. 2087 cod. civ., in forza del quale è configurabile
la responsabilità del datore di lavoro in relazione ad un infortunio che sia
riconducibile ad un comportamento colpevole del datore, alla violazione di uno
specifico obbligo di sicurezza da parte dello stesso o al mancato apprestamento
di misure idonee alla prevenzione di ragioni di danno per i lavoratori
dipendenti, non può esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di
accorgimenti idonei a fronteggiare cause d’infortunio del tutto imprevedibili…
“
E’ il tema della cd. condotta abnorme o imprevedibile del lavoratore in occasione
dell’infortunio che affronterò di seguito in riferimento ad alcuni procedimenti
di recente decisi dalla giurisprudenza.
Al datore è richiesto il controllo, continuo
ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per
evitare che esse vengano trascurate o disapplicate dai lavoratori.
La
responsabilità del datore di lavoro non esclude però la concorrente
responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri
decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere
le situazioni di rischio) può essere ritenuto corresponsabile del verificarsi
di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una
situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e
segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito
l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a
neutralizzare detto pericolo.
Il RSPP può essere tenuto a rispondere - proprio
perchè la sua inosservanza si pone come concausa dell'evento - dell'infortunio
verificatosi a causa dell'inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli,
all'epoca del fatto, dall’art. 33 del D.
Lgs. 81/2008 “compiti del servizio di
prevenzione e protezione”.
Inoltre qualora il RSPP, agendo con imperizia,
negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un
suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di
rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, lo stesso sarà
chiamato a rispondere insieme a questi dell'evento dannoso che ne è derivato.
In una sentenza della Cassazione penale, sez. feriale n. 32357 del 26 agosto 2010 è stato
affermato che i RSPP sono soltanto dei "consulenti" e i risultati dei loro studi e delle loro
elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione
dell'azienda, vengono fatti propri dal vertice aziendale che li ha scelti sulla
base di un rapporto liberamente instaurato.
Ciò detto la figura del RSPP negli ultimi anni è
stata oggetto di crescenti addebiti in occasione del verificarsi di infortuni
sul lavoro.
Dopo questa premessa di inquadramento generale sottopongo all’attenzione dei presenti
alcuni casi decisi negli ultimi mesi dal giudice di legittimità da cui è emersa
la responsabilità del datore di lavoro, del RSPP e di altre figure su cui
gravano obblighi previsti dal T.U. D. Lgs. 81/2008.
1-Cassazione
Penale, Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 18444 -
Infortunio mortale di un addetto alla pressa per scarti: responsabilità dei
vertici dell’azienda e del RSPP. Manomissione dispositivo di sicurezza della
macchina.
Il lavoratore deceduto era alle dipendenze della
società da soli 13 giorni come addetto al funzionamento di una pressa per
scarti.
L'incidente si era verificato perché non era
stato assicurato il corretto funzionamento della pressa, si configurava una
violazione di norme cautelari rientranti nella sfera di rischio dei
responsabili della società tra le cui attribuzioni vi è quella di assicurarsi
che le macchine operino in condizioni di sicurezza, a garanzia di tutti i
lavoratori e anche dei terzi.
Venivano imputati di omicidio colposo il
presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l.- datore di lavoro, un
componente del consiglio di amministrazione con delega alla gestione del
personale, presente sul luogo di lavoro al momento dei fatti e il responsabile
del servizio di prevenzione e protezione.
All'esito dell’istruttoria il Tribunale di Gela,
disattendendo le risultanze delle perizie tecniche, riteneva che la posizione
in cui era stato rinvenuto il lavoratore era la conseguenza di un tragico
incidente collegato all'uso della pressa per cui un'altra persona, rimasta
ignota, non accorgendosi della sua posizione l’aveva messa in moto-
Poi, resosi conto di quanto stava accadendo, questo
soggetto azionava immediatamente il tasto di emergenza bloccando così la
macchina.
Il giudice siciliano aveva appurato che secondo
le corrette modalità di funzionamento, la pressa doveva e poteva operare solo
con entrambi gli sportelli, superiore ed inferiore, chiusi in quanto i contatti
elettrici di comando entravano in azione solo a seguito della chiusura.
Il
dispositivo di sicurezza era però stato visibilmente manomesso tramite un fil di
ferro, rinvenuto sul posto dai primi soccorritori, posizionato in modo tale da
mantenere il piolo che consentiva il passaggio dell'elettricità attivo,
nonostante la apertura dello sportello superiore.
In questo modo la macchina poteva funzionare con
uno o entrambi gli sportelli aperti, era stato accertato per testi che la pressa veniva generalmente utilizzata con
gli sportelli aperti per velocizzare le operazioni di lavoro.
Il Tribunale osservava che il fatto che la pressa era stata con certezza manomessa
nei suoi dispositivi di sicurezza e l'esistenza di una prassi abituale per cui
la lavorazione avveniva in tal modo, erano circostanze di importanza
fondamentale nell'accertamento della responsabilità e del nesso di causalità.
L'assenza
della manomissione e il corretto funzionamento del dispositivo di sicurezza
avrebbero impedito che la pressa potesse essere attivata con lo sportello
superiore aperto, con ciò determinando una condizione fondamentale perché si
realizzasse l'evento, operante come concausa anche in presenza dell'intervento
di una terza persona, non essendo qualificabile quest'ultimo quale causa
eccezionale e atipica da sola sufficiente a causare l'evento.
Di ciò dovevano rispondere gli imputati stante
la posizione di garanzia a ciascuno riferibile e il difetto di vigilanza che
aveva fatto sì che non fosse eliminata una situazione di pericolo.
Gli imputati proponevano ricorso per Cassazione.
La
responsabilità degli imputati, rilevavano i giudici di legittimità confermando
le osservazioni dei giudici del merito,
derivava dal fatto provato che la pressa operava abitualmente in condizioni di
palese pericolosità ovvero con gli sportelli aperti, la macchina non
rispondeva alle previsioni di sicurezza ed era abitualmente adoperata in tal
modo, questa era circostanza nota o facilmente riscontrabile e pertanto riferibile
agli imputati per violazione evidente del dovere di vigilanza.
La loro responsabilità non poteva ritenersi
esclusa per il fatto che il pulsante di avvio fosse stato premuto da un terzo e
non dallo stesso lavoratore.
Con riferimento alla materia degli infortuni sul
lavoro si è fatto riferimento, specie per quanto riguarda il cd. comportamento abnorme del lavoratore
infortunato, alla nozione di area di rischio nel senso che il datore di
lavoro è esonerato da responsabilità per esclusione dell'imputazione oggettiva
dell'evento solo quando il comportamento del lavoratore e le conseguenze che ne
discendono presentino i caratteri
dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute.
La possibilità che un terzo, per errore o
disattenzione, prema il pulsante di avvio è del tutto prevedibile, trattandosi
di un banale errore umano, ma ciò che ha reso l'errore tragico e fatale è il
fatto che la macchina poteva operare a sportelli aperti e dunque avviarsi
mentre l'operatore stava lavorando all'interno.
FOCUS: Qualora
il datore di lavoro abbia omesso di predisporre le opportune misure
antinfortunistiche e tale omissione abbia consentito il verificarsi di un
infortuno sul lavoro, l'attività imprudente della parte lesa o di terzi non può
considerarsi una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l'evento
(Cass. sez. I 1.7.1981 n.8921).
Per quanto concerne la responsabilità del RSPP era stato rilevato che l’imputato svolgeva
questo incarico da oltre dieci anni e nel caso in questione non aveva
rispettato gli
obblighi di continua collaborazione e
segnalazione delle situazioni di rischio (art. 33 T.U.) nonché nella violazione
del dovere formativo che comprendeva non solo la effettuazione di corsi
generici sulla sicurezza dei luoghi di lavoro ma una specifica informazione e
formazione sull'uso dei macchinari utilizzati.
Correttamente dunque era stato ritenuto che egli
fosse corresponsabile del verificarsi dell' infortunio, riconducibile ad
una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e
segnalare, nonché per la mancanza della dovuta formazione dei lavoratori.
2- Cassazione
Penale, Sez. 4, 26 novembre 2015, n. 46979 - Attività cantieristica in
sospensione, infortunio mortale del lavoratore. Omessa adozione misure per la
tutela integrità fisica del lavoratore ex art. 2087 c.c.
Un datore di lavoro titolare di impresa
familiare, imputato del reato di cui agli artt. 113 (cooperazione nel delitto colposo) art. 589 secondo comma c.p. (omicidio colposo, aggravato dalla violazione
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) in relazione all'art.2087
cod. civ. era stato condannato per aver causato la morte di un lavoratore, che
cadendo aveva riportato un trauma cranico,
ponendolo a lavorare o permettendo che lo stesso lavorasse in piedi su una
trave di cemento armato posta ad un'altezza di 1,47 mt. dal piano del solaio e
larga 30 cm, tale da non garantire spostamenti o movimenti agevoli, tanto più
che la perdita di equilibrio poteva essere determinata dall'operazione eseguita
con le braccia rivolte verso l'alto e quindi omettendo di strutturare il posto
di lavoro in modo che il lavoratore non potesse scivolare o cadere.
Il datore di lavoro ricorreva per Cassazione.
La Corte esaminava i motivi del ricorso dichiarandoli
inammissibili o infondati.
In particolare il giudice di primo grado, il
Tribunale di Urbino, aveva ritenuto accertato che tra l'impresa appaltatrice
dell'opera e l'impresa della quale l'imputato era legale rappresentante, fosse
intercorso un contratto di subappalto
orale.
Le dichiarazioni rese dagli stessi imputati
avevano dimostrato che il proprietario del fabbricato aveva commissionato ad
una impresa individuale i lavori edili per la realizzazione del secondo piano
della sua casa e che quest’ultimo a sua volta, aveva subappaltato ad una ditta
terza la costruzione delle travi in cemento armato.
Il lavoratore deceduto risultava dipendente da
circa cinque anni della ditta subappaltatrice ed “era stato incaricato e ciò anche su sollecitazione del suo datore di
lavoro di provvedere alla operazione di spicco delle travi, vale a dire alla
definizione e alla segnatura dei punti di appoggio”.
Al fine di accertare le responsabilità, secondo
il Tribunale, era irrilevante la mancanza di contratti scritti di appalto e di
subappalto, in quanto l'infortunato era stato di fatto incaricato sia dal
responsabile della ditta subappaltatrice che dal titolare della ditta
individuale appaltante di eseguire il lavoro.
La condotta colposa ascritta al datore di lavoro
riguardava la specifica violazione della regola cautelare posta dall'art. 11, comma 7, lett. d) d.P.R. n. 547/1955 “norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro”, a mente del quale “quando i
lavoratori occupano posti di lavoro all'aperto, questi devono essere
strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori
non possano scivolare o cadere”.
La necessità di predisporre un ponteggio nel
caso in esame non avrebbe potuto comunque desumersi da una precisa previsione
normativa, non essendo applicabile
l'art. 16 d.P.R. n. 164/1956 “norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro nelle costruzioni” che disciplina i lavori eseguiti ad
un'altezza superiore ai 2 metri, tuttavia vige l’obbligo generale di
strutturare il posto di lavoro in modo da evitare scivolamenti o cadute.
Questa regola cautelare è, peraltro, rispondente
ai generali principi di diligenza e di prudenza, che impongono a chiunque
assuma, in qualsiasi momento ed in qualsiasi occasione, una posizione di
garanzia rispetto ad un'attività di lavoro, di operare per prevenire ogni
prevedibile ed evitabile rischio e per garantire la sicurezza del luogo di
lavoro.
Entrambe le norme menzionate (art. 11, comma 7,
lett. d) d.P.R. n.547/55 e art. 16 d.P.R. n. 164/56) possono riferirsi a lavori
non eseguiti ad altezza d'uomo ma ad un'altezza dal suolo che ne renda più
difficile e rischiosa l'esecuzione, tanto da rendere necessario il ricorso a
misure capaci di prevenire il rischio di cadute.
FOCUS: In
tema di infortuni sul lavoro, non occorre, per configurare la responsabilità
del datore, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la
prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si
verifichi a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti
all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela
dell'integrità fisica del lavoratore (Sez. 4, n.4917 del 01/12/2009); con la conseguenza che ricadono sul
datore di lavoro, che abbia omesso di adottare tali misure ed accorgimenti,
anche quei rischi derivanti da cadute accidentali, stanchezza, disattenzione o
malori comunque inerenti al tipo di attività che il lavoratore sta svolgendo.
3-Cassazione Penale,
Sez. 4, 03 febbraio 2016, n. 4501 – Macchina
pericolosa. Responsabilità del datore di lavoro. Nuove acquisizioni
tecnologiche.
Oggetto del processo era stato un infortunio sul
lavoro, ascritto al legale rappresentante di una ditta, per cui un dipendente addetto
al controllo della qualità dell'impasto di cemento, acqua e inerti miscelati in
una macchina impastatrice, saliva su una
pedana per guardare all'interno
della
macchina e, dopo essere scivolato su un gradino, nel tentativo di aggrapparsi a
qualche appiglio, la sua mano finiva, attraverso uno sportello,
nell'impastatrice e veniva tranciata dalle zappette della macchina.
Il giudice monocratico del tribunale di Taranto
contestava al datore di lavoro il fatto che l'impastatrice era priva di dispositivi che la fermassero
automaticamente in caso di apertura dei coperchi (in violazione degli artt. 68 e 72 del D.P.R. 547/1955 e che il pulsante rosso d'emergenza (che avrebbe
provocato l'arresto immediato della macchina) non era funzionante.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di
Lecce che confermava le statuizioni civili del primo giudice ricorreva il
datore di lavoro.
Nel respingere il ricorso del datore i giudici
della quarta sezione penale hanno rilevato che la Corte di merito, riportando
letteralmente il disposto degli artt. 68 e 72 D.P.R. 547/1955, aveva chiarito che è dovere del datore di lavoro
curare che nelle macchine pericolose
sia presente un meccanismo di blocco che impedisca di rimuovere o aprire il
riparo quando la macchina è in moto, o ne provochi l'arresto all'atto della
rimozione o
dell'apertura, e non consenta l'avviamento della
macchina se il riparo non è in posizione di chiusura.
Osservano i giudici che anche volendo ipotizzare
che il lavoratore abbia deliberatamente infilato la mano nello sportello per
controllare manualmente l'impasto, rimanendo conseguentemente ferito, questa
diversa ricostruzione non esimerebbe da responsabilità il datore in ordine
all'omessa predisposizione dei dispositivi di sicurezza oggetto di addebito,
atteso che per integrare il nesso
causale riferibile a detta condotta omissiva non è rilevante il motivo per il
quale il dipendente mise la mano destra all'interno del macchinario mentre esso
era funzionante, ma unicamente il fatto che ciò sia potuto accadere.
Pur immaginando che il lavoratore abbia voluto
mettere la mano nello sportello per controllare l'impasto, tale condotta, sicuramente
imprudente, non potrebbe dirsi abnorme o
imprevedibile, atteso che i testi avevano riferito che spesso i lavoratori
procedevano al controllo manuale dell'impasto inserendo le mani
nell'impastatrice, senza spegnere la macchina, per espressa volontà del datore
di lavoro, a causa del malfunzionamento delle sonde che avrebbero dovuto
regolare umidità e densità dell'impasto stesso: si trattava di una prassi ben
nota al datore che, secondo i testi, la favoriva.
FOCUS: Non
è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore
per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato
dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le
disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore
anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro
dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle
direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione,
foriere di pericoli (Cass. Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015 - dep.
28/05/2015).
Il datore di lavoro deve ispirare la sua
condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in
modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta
sicurezza.
Pertanto,
non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla
legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo
tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa
sempre più sicura.
L'art.
2087 cod. civ.,
infatti, nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio
dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la
tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale
del lavoratore, stimola
obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni
tecnologiche.
La condanna del datore di lavoro pertanto è
stata confermata.
4-
Cassazione penale IV 2 febbraio 2016 n. 4340
Scavo
privo dell'armatura di sostegno: infortunio mortale nel cantire edile, presunto
concorso di colpa. Responsabilità di un preposto e del RSPP.
Imputati di concorso in omicidio colposo aggravato
dalla violazione della normativa antinfortunistica erano il preposto alla direzione esecutiva e
capocantiere e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il preposto per non avere informato i lavoratori
dello specifico rischio da sprofondamento e seppellimento e sulle precauzioni
da prendere e per non avere segnalato al datore di lavoro o al dirigente la
situazione di pericolo presente nel cantiere, art. 119, d.lgs. n. 81/2008, il RSPP per non avere provveduto a
mettere in sicurezza lo scavo con la predisposizione di idonee armature di
sostegno, art. 92, comma 1, lett. b,
d.lgs. n. 81/2008, avevano procurato
la morte del lavoratore che sceso all'interno dello scavo per agevolare
l'innesto di una tubatura, verificatosi uno smottamento, travolto dai detriti, era
deceduto a causa del trauma subito.
La Corte d'appello di Palermo, parzialmente
riformando la sentenza di primo grado, aveva determinato un concorso di colpa della vittima nella
misura del 50% e ridotto la pena inflitta agli imputati.
Avverso la sentenza d'appello proponevano
ricorso gli imputati, la s.r.l. quale responsabile civile, le parti civili e il
Procuratore Generale della Repubblica.
La diversa ricostruzione dell'evento propugnata
dai ricorrenti nei motivi del ricorso non poteva comunque modificare le
motivazioni della decisione dei giudici di merito ma solo accreditare una
versione dei fatti maggiormente verosimile.
Destituita di fondamento, secondo i giudici di
piazza Cavour, la pretesa di qualificare la condotta lavorativa del lavoratore, imprevedibile e imprevenibile, in
quanto abnorme.
La Corte escludeva escluso la sussistenza di una
condotta avulsa dallo svolgimento della mansione, abnorme e, pertanto,
imprevedibile da parte del soggetto protetto dalla garanzia in quanto si
configura un tragico evento occorso nell'esercizio e a causa dello svolgimento
d'una attività integrata puntualmente nel contesto lavorativo, come tale del
tutto prevedibile e prevenibile dal garante.
FOCUS:
La colpa
del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa
antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni,
non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del
rapporto di causalità
tra la
violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può
essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del
lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa
all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al
di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
La Cassazione ha avuto modo di affermare
reiteratamente l'estrema rarità dell'ipotesi in cui possa configurarsi una condotta
abnorme anche nello svolgimento proprio dell'attività lavorativa,
escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore
commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più
rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di
lavoro (Cass. pen. IV, n. 2614/07 del
26/10/2006).
I testi escussi avevano dichiarato che il lavoratore deceduto, pur assunto con la
qualifica di autista, partecipava alla posatura dei tubi, come tutti gli altri
operai, mancando una precisa assegnazione di ruoli all'interno del cantiere.
Posatura, la quale richiedeva la necessità che un operaio scendesse all'interno
dello scavo per l'innesto a mano.
Ciò che rilevava, secondo il collegio
giudicante, era il crollo in sé, reso possibile dalla mancata armatura dello
scavo: che ciò sia avvenuto a causa del modo d'essere del terreno,
instabile ed imbibito dall'acqua, a causa delle vibrazioni della pala
meccanica, per un colpo improvvido della benna o per il cedimento del superiore
manto stradale, resta del tutto ininfluente.
Per quel che concerne il RSPP, anche direttore tecnico del cantiere, responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, egli
avrebbe dovuto immediatamente segnalare, perché la prassi scorretta e
pericolosa fosse abbandonata, il fattore di rischio inaccettabile, costituito
dalla circostanza che gli scavi, in violazione dell'art. 119 del T.U. non venivano armati e poi assicurarsi che la
violazione fosse eliminata concretamente.
FOCUS:
Il RSPP,
pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma
di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico
affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi
connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche
per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni
economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori,
con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a
rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della
violazione dei suoi doveri (Cass. S. U. n. 38343 del 24/04/2014).
Per l’altro imputato, il preposto alla direzione esecutiva e capocantiere non si configura
un esonero dagli obblighi di garanzia, non trattandosi di situazione di rischio
accidentalmente sopravvenuta, da segnalare alla dirigenza e al datore di
lavoro.
In questo caso si era in presenza di una
modalità di lavorazione, manifestamente in dispregio delle norme cautelari
minime, che si rinnovava quotidianamente con la scelta di non proteggere le
pareti degli scavi, via via aperti.
Non si trattava della decisione, presa una volta
per tutte dal datore di lavoro o dalla dirigenza di impiegare un certo
macchinario, ma del rinnovare ogni giorno una prassi lavorativa altamente rischiosa
che avrebbe imposto di segnalare ogni giorno la condizione di pericolo
elettivo.
A prescindere dalla violazione del dovere di
segnalazione al datore di lavoro o al dirigente (art. 19, lett. f, T.U. “obblighi del preposto”), risulta pienamente
integrata la violazione del precetto che impone di avvisare i lavoratori
esposti.
E’ stato sostenuto dalla giurisprudenza di
legittimità che il capo cantiere, la
cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di
garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende
alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive
ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse
ai dipendenti (Cass., Sez. 4, n. 9491
del 10/01/2013).
Conclusivamente la Corte ha deciso per il
rigetto dei ricorsi degli imputati e annullata la sentenza limitatamente alla
questione del concorso di colpa ed alla quantificazione della pena, rimettendo
gli atti ad altra Sezione della Corte di Palermo per nuovo esame.
5- Cassazione
Civile, Sez. Lav., 04 febbraio 2016, n. 2209 - Il
datore di lavoro è responsabile dell'infortunio sia quando ometta di adottare
le misure protettive sia quando non vigili sul loro effettivo uso da parte del
lavoratore.
La vicenda decisa dalla sezione lavoro della
Corte di Cassazione il 4 febbraio di quest’anno traeva origine dall’infortunio di un lavoratore che, mentre
stava procedendo alla sostituzione di una girante per l’aspirazione di fumi su
un impianto e alla sistemazione della guarnizione sulla flangia di base veniva
colpito da un soffietto dilatatore del peso di tre tonnellate che precipitava
di colpo sulla sua mano sinistra, amputandogli il V dito e provocandogli la
lesione tendinea del IV dito.
Il distacco del soffietto, secondo la difesa del
lavoratore, sarebbe stato provocato dalla rimozione di due “alza e tira” che ne costituivano il
normale e idoneo sistema di ancoraggio derivante dalle precarie condizioni del
reparto in cui il lavoratore operava.
La responsabilità della società datore di lavoro
derivava dalla mancata osservanza di quelle regole di sicurezza e prudenza
idonee a tutelare l’integrità fisica di chi attendesse all’operazione,
individuate specificamente nell’omesso ancoraggio del soffietto attraverso i due
meccanismi di sollevamento funzionali all’apertura della cappa.
Il Tribunale di Taranto aveva ritenuto provati i
fatti enunciati, avendo i testi esaminati confermato e chiarito la dinamica
dell’infortunio.
Dalle dichiarazioni rese dai testi era tuttavia
emersa una ricostruzione diversa
dell’evento dannoso da quella posta a base della domanda del lavoratore
ricorrente e una conseguente diversa causalità nella produzione delle lesioni,
poiché nessuno dei testi aveva riferito di meccanismi “alza e tira”, che di
norma assicuravano l’ancoraggio del soffietto e che il giorno dell’infortunio
sarebbero stati rimossi.
Era risultato viceversa che gli stessi testi
erano addetti al sollevamento del soffietto mediante due argani e avrebbero
dovuto iniziare a rilasciarlo solo quando il lavoratore avesse completato la
sistemazione della guarnizione, i due avevano cominciato a mollare l’argano
dalla parte corrispondente e, vista la resistenza dello stesso, lo avevano
lasciato andare.
L’istruttoria aveva accreditato una versione
diversa tale da mutare l’addebito originariamente mosso dal ricorrente alla
condotta aziendale, consistente non più nella rimozione del soffietto ma
nell’aver consentito che i colleghi di lavoro dell’infortunato operassero in
modo imprudente e pericoloso, addirittura imponendolo attraverso direttive dei
responsabili, finalizzate ad accelerare i tempi di lavorazione, sino a farlo
divenire tipica modalità lavorativa.
Il lavoratore presentava ricorso in Cassazione
dopo che in Appello la sua domanda era stata rigettata, accogliendo
l’impugnazione del datore di lavoro.
Il primo motivo addotto dalla difesa del
lavoratore veniva ritenuto fondato.
“Il principio
della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. non osta a che il giudice renda
la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto
a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma
giuridica diversa da quella invocata dall’istante”, fermo restando il divieto
per il giudice stesso di attribuire alla parte un bene non richiesto, o,
comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di
causa ma che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio
come oggetto del contraddittorio.
Nel caso in esame l’esito della decisione, pur
fondato su una diversa ricostruzione fattuale dei fatti scaturita
dall’istruttoria non determinava, a detta della Corte, alcun mutamento degli
elementi essenziali della domanda finalizzata ad ottenere il risarcimento dei
danni per lesione nello svolgimento di attività lavorativa.
Con un secondo motivo il ricorrente deduceva la
violazione e falsa applicazione dell’art. 4 DPR n. 547/1955 e dell’art. 2087
c.c. perchè la Corte d’Appello aveva erroneamente individuato la causa
esclusiva dell’infortunio nel comportamento “imprudente e pericoloso” dei due testi colleghi di lavoro
dell’infortunato, senza considerare che proprio tale comportamento era idoneo a
rivelare la responsabilità dell’azienda sotto il profilo di omissione della
dovuta vigilanza circa il rispetto delle misure di sicurezza e delle regole di
prudenza, esigibili anche contro la volontà del lavoratore.
FOCUS:
Rileva la Corte accogliendo anche il secondo
motivo, il principio “le norme dettate in tema di prevenzione
degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni
pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti
derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia,
negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile
dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga
fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun
effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul
lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di
colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare
l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa
presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed
eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento” (Cass. Sez.
L. Sentenza n. 5493 del 14/03/2006).
Inoltre il ricorrente deduceva la violazione e
falsa applicazione dell’alt. 2087, 2697 e dell’art. 1218 c.c. in tema di
ripartizione dell’onere della prova.
La Corte d’Appello riteneva che il lavoratore
aveva l’onere della prova circa la vigilanza che l’azienda avrebbe dovuto
effettuare per evitare l’evento, nonché quello relativo all’individuazione dei
soggetti delegati al controllo. Anche quest’ultimo motivo è stato accolto.
Va ricordato l’indirizzo consolidato secondo il
quale “la responsabilità del datore di
lavoro di cui all’art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue
che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di
aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute,
l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività
dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre
grava sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le
predette
Circostanze,
l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno,
ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi
del danno medesimo” (Cass. lavoro n. 3788 del 17/02/2009).
Pertanto il ricorso del lavoratore è stato
accolto, la sentenza è stata cassata, con rinvio al giudice del merito che
dovrà attenersi ai principi di diritto indicati.
6-
Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2016, n. 7897 - Rischio di afferramento. Mancanza di comportamento
abnorme del lavoratore.
Il socio di una società in nome collettivo in
qualità di RSPP veniva
condannato dal Tribunale di Massa alla pena di otto mesi di reclusione, oltre
al pagamento delle spese processuali, per il delitto di cui agli articoli 113,
590, comma 3, c.p., perché, in cooperazione con altro soggetto, per non avere fornito al lavoratore idonea
formazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro in relazione alla sua
mansione (art.18, lettera L, del
D.Lgs 81/08) e per non avergli
fornito idonei dispositivi di protezione individuale (art. 18, lettera D, del D.Lgs 81/08), per non avere provveduto all'individuazione dei fattori di rischio
incidenti sulle attività di lavoro svolte dai lavoratori, sulla base della
specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale e per non avere elaborato le
misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza ad essi correlati
(artt. 28 e 29 del D.Lgs 81/08) con
riguardo in particolare al rischio di afferramento nonché per avere messo a
disposizione dei lavoratori attrezzature
non conformi ai dispositivi di sicurezza (in particolare un disco di taglio
e l'asse di trasmissione del moto della macchina fresatrice non protetta da
idoneo carter (art.71 D.l.vo 81/08)
causando al lavoratore lesioni personali gravissime.
Il dipendente della s.n.c., durante la
lavorazione di una lastra alla macchina fresatrice veniva afferrato negli abiti
dall'asse di trasmissione, subendo lesioni personali gravissime con esiti
permanenti costituiti dalla "deformazione
del padiglione auricolare sinistro" e da un "deficit acustico".
La Corte di Appello di Genova, confermava la
sentenza del giudice di prime cure.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso
l'imputato.
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile
perché riproponeva i medesimi motivi d'appello attinenti il fatto e pertanto
confermata la condanna.
In tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del
datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e
comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività
lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di
sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo,
circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il
controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di
lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass., Sez. IV, 10.2.2005, n. 13251,; id., Sez. IV., 3.3.1995, n. 6486;
id., Sez. IV, 12.12.1983, n. 3824/2004).
Ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 547/1955, il datore
di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione,
osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione
antinfortunistica e tra tali obblighi rientra certamente quello, fondamentale
ed ineludibile, di fornire al lavoratore macchine ed attrezzature in regola con
le prescrizioni antinfortunistiche.
Nel caso in esame l’imputato, in quanto
amministratore e legale rappresentante della società, era titolare di una
posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori e aveva il
dovere di provvedere al rispetto della normativa antinfortunistica, vigilando
sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli
stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, essendo egli stesso
responsabile della prevenzione e della sicurezza sul lavoro in una realtà aziendale di soli due soci (che come membri di una
società di persone erano essi stessi obbligati ad assolvere tali funzioni, non
essendovi alcun altro soggetto a ciò delegato).
FOCUS: La colpa concorrente del
lavoratore e il cd. comportamento abnorme.
La giurisprudenza di legittimità in molteplici
occasioni ha stabilito che, in tema di causalità, la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione
della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne
le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché
l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o
lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei
casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e
che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento (ex multis Cass. pen IV, n. 23292 del 28/04/2011).
Quanto al significato da attribuire ad un "comportamento abnorme", la
sentenza Cass. pen. IV n. 23292/2011 ha
definito abnorme il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte
dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli
infortuni sul lavoro; e tale non ritiene che sia il comportamento del
lavoratore che, come nel caso che occupa, abbia compiuto un'operazione comunque
rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro
attribuitogli.
L'abnormità del
comportamento si configura in presenza dell'imprevedibilità della condotta
tenuta dal lavoratore, imprevedibilità
che non può mai ritenersi esistente quando la condotta del lavoratore è tenuta
nell'espletamento, sia pure imperito, imprudente o negligente, delle mansioni
assegnategli.
E ciò perché la prevedibilità di uno scostamento
del lavoratore dagli standards di
piena prudenza, diligenza e perizia è ordinariamente presente, secondo i giudici,
perché quello scostamento è “evenienza immanente nella stessa organizzazione
del lavoro”.
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