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martedì 25 dicembre 2018

Auguri di Natale con le parole di don Tonino Bello.

Studio Legale DE VALERI Law Firm

augura ai lettori del blog di vivere il Natale con serenità coltivando gli affetti familiari, ove possibile.
Condividiamo la riflessione di don Tonino Bello:

"Vi auguro di capire che Natale non è un punto di arrivo ma di
partenza. Natale non è un "punto a capo": 
Natale è "due punti" : si apre, si deve aprire poi tutto un discorso.
Dobbiamo tutti prendere coscienza con lucidità e determinazione che a
Natale non si arriva, dal Natale si parte. Per troppi cristiani tutto finisce a
Natale, mentre tutto dovrebbe cominciare da lì: conta il giorno dopo Natale.
Gesù è venuto non perché tutto restasse come prima, ma perché cambiasse la
vita di tutti. Natale è rinascere noi e far nascere un mondo nuovo.
Natale è qualcosa di nuovo che nasce dentro di noi, nel nostro cuore, nel
santuario della nostra libertà. E' il nostro cuore che fiorisce, che guarisce e
che fa di noi le vere luci di Natale, le vere stelle di Natale".

(Tonino Bello, vescovo, Servo di Dio)


"Natività" dipinto di Carlo Maratta, 1650.


giovedì 1 novembre 2018

Lavoro. Dal mobbing allo straining ai danni del lavoratore che andrà risarcito.


Quando si parla di “STRAINING” ci si riferisce ad un grave disagio lavorativo, il termine anglosassone, coniato dal prof. Harald Ege, psicologo del lavoro, deriva dall’inglese “to strain” e significa “mettere sotto pressione”.
E’ la pressione cui viene sottoposto il lavoratore da parte di un superiore o direttamente dal datore di lavoro mediante un comportamento ostile che provoca stress ed effetti negativi nel tempo senza che la vittima possa liberarsi dalla soggezione nei confronti dello strainer.
A differenza del MOBBING (to mob ovvero assalire, molestare) che prevede una serie di condotte ostili reiterate nel tempo ai danni del lavoratore provocando un danno alla sua salute diretta conseguenza delle vessazioni, l’ipotesi di straining non prevede continuità delle molestie nel tempo ma anche una sola azione che però produce effetti duraturi nella vittima “stressata” come nel caso del demansionamento.
Quest’anno in tema di straining sono state pubblicate due decisioni della Cassazione che possono aiutare un lettore-lavoratore a comprendere quando si configura secondo la costruzione dei giudici i quali hanno come riferimento la disposizione dell’art. 2087 del codice civile che prescrive il rispetto dell’integrità fisica del lavoratore ponendo a carico del datore-imprenditore l’obbligo di adottare le misure idonee a tutelarla.


Inizio il mio excursus con una controversia,decisa dalla Cassazione con la recente ordinanza pubblicata il 10 luglio 2018, originata dal ricorso al Tribunale di Roma di una lavoratrice che sosteneva di essere stata vittima di una condotta “mobbizzante” da parte del datore di lavoro, una società per azioni, e chiedeva pertanto la condanna della stessa al risarcimento di tutti i danni subiti anche non patrimoniali.
La dipendente chiedeva inoltre l’accertamento della responsabilità della società in ordine all’insorgenza ed alla prosecuzione di una malattia da cui era affetta che aveva determinato le sue assenze dal lavoro.
Il protrarsi della malattia aveva causato il suo licenziamento per superamento del periodo di comporto e pertanto costei chiedeva la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento alla reintegra.
Il Tribunale non accoglieva la domanda e anche la Corte di Appello confermava il rigetto per cui la lavoratrice ricorreva in
Cassazione, procedimento deciso con l’ordinanza n. 18164/2018.
Va elogiata la difesa della lavoratrice che soccombente in primo grado, in appello, considerando opportunamente le risultanze dell’istruttoria svolta sceglieva la via dell’accertamento dello straining a carico del datore e in sede di legittimità contestava l’inammissibilità della domanda di cui la controparte aveva eccepito la novità, reputando che questa fattispecie poteva definirsi come un mobbing attenuato ma non per questo non meritevole di tutela risarcitoria per la dipendente.
La Corte accogliendo i motivi di ricorso ha precisato che
lo “straining” è effettivamente una modalità illegittima di atteggiarsi nei confronti del dipendente e, pur non evidenziandosi il requisito della continuità delle azioni vessatorie, in ogni caso gli episodi dimostrati avendo prodotto un danno all’integrità psico-fisica del lavoratore (dimostrato dalla consulenza tecnica effettuata in corso di causa) rientrando nella tutela ex art. 2087 c.c. “
norma di cui da tempo è stata fornita un’interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost. (Cass. 3291/2016)”.
Pertanto la difesa della lavoratrice non aveva violato il divieto di domanda nuova disposto dall’art. 112 codice di procedura civile dopo aver qualificato i fatti come ipotesi di mobbing in primo grado e aver paventato in appello una fattispecie di straining.
Per la Corte “si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni “stressogene” che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.”.
Il ricorso è stato accolto e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame della domanda della lavoratrice.
Sempre in tema di atteggiamenti ostili del datore di lavoro o dei suoi dipendenti nei confronti di subordinati una precedente ordinanza della sezione lavoro della Cassazione, n. 3977 pubblicata il 19 febbraio 2018, aveva deciso una controversia, in cui era parte un dipendente pubblico, qualificandoli come straining.
In quel caso una dipendente dichiarata inidonea all’insegnamento era stata assegnata alla segreteria di una scuola pubblica e dopo che la stessa aveva lamentato la carenza di personale per l’espletamento dei servizi amministrativi un dirigente scolastico l’aveva privata degli strumenti di lavoro, attribuendole mansioni didattiche, sia pure in compresenza con altri docenti, nonostante l’accertata inidoneità e per ultimo l’aveva privata di ogni mansione per cui la lavoratrice era del tutto inattiva.
La consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale aveva evidenziato che la condotta illegittima, anche se non mobbizzante, integrava un’ipotesi di straining e la lavoratrice aveva ottenuto la condanna del Ministero dell’Istruzione al risarcimento.
Il giudice di appello, a seguito di impugnazione del MIUR, rilevava che “non compete al ricorrente la qualificazione medico-legale della fattispecie ritenuta produttiva di danno risarcibile” per cui sostenere per il ricorrente l’ipotesi del mobbing non pregiudica che il giudice all’esito dell’istruttoria possa invece ritenere l’esistenza dello straining.
La Corte di Appello di Brescia ritenne dimostrato il nesso causale fra le condotte denunciate dalla lavoratrice ed il danno biologico di natura temporanea confermando la liquidazione effettuata dal Tribunale sulla base delle indicazioni riportate nella consulenza tecnica espletata.
Il Ministero pertanto ha proposto ricorso in Cassazione che è stato respinto dalla Suprema Corte.
In sintesi la sezione lavoro ha evidenziato che non integra violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile fare riferimento alla “nozione medico-legale dello straining anzichè quella del mobbing” perchè lo straining altro non è se non ” una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie..” azioni che se si dimostri abbiano prodotto un danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 codice civile.
L’obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore prevede che costui eviti qualsiasi “condotta che sia finalizzata a ledere detti beni, ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona”.
Infine la Corte ha aderito alla decisione del giudice del merito per cui era stata dimostrata la responsabilità del Ministero in quanto la dipendente era stata oggetto di azioni ostili, descritte e provate nel giudizio di primo grado, “consistite nella privazione ingiustificata degli strumenti di lavoro, nell’assegnazione di mansioni non compatibili con il suo stato di salute ed infine nella riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosità”.
Conclusivamente la categoria giuridica dello straining quale “mobbing attenuato” potrà assumere nel tempo contorni sempre più delineati grazie all’elaborazione girisprudenziale e rappresentare la possibilità per il lavoratore di veder accolta la propria domanda risarcitoria nelle ipotesi certamente prevalenti in cui non si configuri la condotta vessatoria reiterata nel tempo ai suoi danni da parte del datore.
Chiaramente sarà opportuna la massima collaborazione tra il lavoratore e il suo avvocato al fine di impostare al meglio il ricorso finalizzato ad ottenere il risarcimento che si basi su circostanze che possono rientrare nell’ipotesi di straining piuttosto che nel tradizionale mobbing… questo must (dovere), la collaborazione cliente-avvocato ante causa, è vecchio come il mondo…. del diritto processuale del lavoro e chi scrive e lo vive con frequenza deve sempre ricordarlo.
STUDIO LEGALE DE VALERI LAW FIRM
Area Diritto del lavoro
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martedì 17 aprile 2018

Infortuni sul lavoro. Responsabilità del datore che riceve in custodia il cantiere. Cassazione lavoro 5957.2018

Il fatto in breve. Un dipendente di una cooperativa si rivolgeva al giudice del lavoro del Tribunale di Udine per ottenere il risarcimento dei danni a seguito di un infortunio patito in occasione di attività lavorativa e precisamente “mentre era intento a praticare dei fori con un macchinario all’interno di una galleria ferroviaria in costruzione, era esplosa una carica rimasta nascosta”, ma sia in primo grado che in appello la sua domanda veniva inopinatamente respinta.

La tesi dei giudicanti traeva fondamento dagli esiti dell’istruttoria svolta dinanzi il Tribunale da cui era risultato che il fatto dannoso non era riconducibile ad un comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito, il quale aveva provveduto alla preparazione della parete ove si sarebbero dovute posizionare le nuove cariche esplosive, né sarebbe risultata, secondo il Tribunale, una responsabilità del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per la esistenza di cariche rimaste inesplose.
Il lavoratore pertanto ricorreva alla Corte di Cassazione e la sezione lavoro ha deciso la controversia con la sentenza n. 5957 pubblicata il 12 marzo 2018, ritenendo fondati i motivi e dunque accogliendo il ricorso.
Partendo dalla ricostruzione del fatto effettuato da parte del ricorrente in primo grado la sera dell’infortunio “dopo aver proceduto ad una prima esplosione, aver liberato il campo dai detriti ed aver consolidato la parete rocciosa con un getto di calcestruzzo, venivano segnati con vernice i punti ove dovevano essere praticati i fori per l’inserimento delle nuove cariche esplosive e veniva dato ordine di eseguire gli ulteriori fori. Nel mentre il lavoratore stava praticando un foro ad un’altezza di circa un metro, si verificava un’esplosione ed egli veniva investito da una quantità notevole di detriti…“.
La descrizione della dinamica degli eventi che avevano portato all’infortunio permetteva di rilevare che la causa del pregiudizio alla salute patito dal ricorrente era costituita dall’esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all’interno del cantiere di pertinenza, se non di proprietà, del datore di lavoro a seguito dell’appalto concluso con il committente.
L’art. 2087 del codice civile sancisce in via generale un obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore e detto obbligo si concretizza poi nel rispetto della circostanziata e puntuale disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione.
L’art.2087 c.c. impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti “con l’adozione – ed il mantenimento perfettamente funzionale – non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente”.
La responsabilità dell’imprenditore-datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, considerando che il contratto individuale di lavoro risulta integrato ex lege ai sensi dell’art.1374 c.c. dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza a tutela del dipendente e a carico del datore.
Quanto alla prova a carico del lavoratore che deduca di aver patito un danno causato da infortunio sul lavoro, la sua difesa dovrà allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ovvero di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza mettendo in atto ogni misura per evitarlo.
L’art. 2051 del codice civile, applicabile al datore di lavoro, dispone che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.” e costituisce la cosiddetta culpa in vigilando.
Nel caso di specie si configurava un contratto di appalto in cui la consegna dell’area di proprietà del committente è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva al datore ed è richiesta, per la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ., “la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, ed il potere fisico del soggetto sulla cosa, da cui discende l’obbligo di controllarla in modo da impedire che la cosa causi danni”.
In tale situazione, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e inoltre abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare “sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli artt.2051 e 2087 c.c., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex art.2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso”.
Nel caso in questione il giudice di merito aveva disatteso tali principi previsti dagli art. 2051 e 2018 c.c. e la difesa del lavoratore, sin dal ricorso iniziale, aveva indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti e ricondotto la causa dei danni all’esplosione verificatasi nella galleria.
Pertanto, secondo il giudice di legittimità non era ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’art. 2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso.
La Corte di Piazza Cavour, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha rinviato il giudizio alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione formulando il principio di diritto di seguito riportato cui il Giudice del rinvio dovrà attenersi nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia – con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa – ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito“.
info diritto del lavoro e responsabilità civile
studiolegaledevaleri@gmail.com

domenica 1 aprile 2018

Pasqua di Resurrezione 2018. Alleluja !


Auguri di pace e serenità a tutti i lettori del blog. 
Gesù è risorto ! Nessuno si senta escluso.

"Sono risorto, e sono sempre con te; 
tu hai posto su di me la tua mano, 
è stupenda per me la tua saggezza. Alleluia. 

(Salmo 139,18.5-6).



Anastasis. Resurrezione (mosaico greco).

domenica 18 febbraio 2018

Imprese e professionisti. In arrivo il nuovo Regolamento (UE) 2016/679 Privacy

Il GDPR, General Data Protection Regulation,  che sostituisce in parte il Codice della Privacy D. Lgs. 196/2003, prevede che le imprese e i professionisti siano in regola entro il 25 maggio 2018 con le disposizioni che introducono importanti novità per tutti i titolari del trattamento, persone giuridiche o fisiche, che per motivi connessi alle rispettive attività con o senza fini di lucro devono trattare i dati personali identificativi e i dati sensibili,  es. in ambito sanitario, e i dati giudiziari.
Il nuovo regolamento, direttamente applicabile negli Stati europei, precisa che sono destinate a rimanere in vigore tutte le norme nazionali non espressamente in contraddizione con il GDPR, tuttavia ancora si attende da parte del Governo, già delegato dal Parlamento, un provvedimento che in tempi brevi allinei il nostro Codice della Privacy alle disposizioni europee che entreranno in vigore tra circa tre mesi.





Le principali novità del Regolamento UE 2016/679 in sintesi:

- il principio di accountability per cui è responsabilità dei titolari dei dati di clienti, dipendenti, fornitori, ecc. conformarsi alle nuove prescrizioni e dimostrare in caso di controlli di aver adottato modelli e informative aggiornate, politiche e misure di sicurezza adeguate per proteggere i dati;
 the “Data Protection Impact Assessment” obbligo di valutazione dell’impatto privacy in caso di rischi elevati nel trattamento dei dati, ad es. profilazione, dati biometrici, dati riferiti a minori, ecc.;
- il titolare del trattamento deve pretendere dai fornitori l’uso di software conformi quanto al trattamento dei dati personali alle prescrizioni del nuovo Regolamento UE;
- i titolari del trattamento dovranno essere in grado di riconoscere e permettere concretamente l'esercizio agli interessati di: "the right to be forgotten", il diritto all’oblio per le persone i cui dati dovranno essere cancellati automaticamente e "the right to data portability" il diritto alla portabilità dei dati;
- l’obbligo di comunicare alla clientela e alla DPA nazionale le violazioni alla sicurezza, data breaches,che comportano la divulgazione non autorizzata, l’accesso ai dati personali trattati, la perdita, ecc.
- il concetto di “privacy by design” con eventuale “data masking” e “privacy by default”;
- nomina di un Data Protection Officer per chi deve svolgere il trattamento dei dati su larga scala.

Il nuovo Regolamento introduce un sistema di sanzioni per i soggetti che trattano i dati personali applicate attraverso il sistema della Legge 689/81 a seguito dei controlli del Garante privacy  che in forma graduale potranno arrivare a 20 milioni di euro oppure al 4% del fatturato totale annuo dell’esercizio precedente ed è prevista anche la possibilità di limitare o addirittura vietare un trattamento dei dati creando seri problemi alla prosecuzione dell’attività.
Le sanzioni comminate alle società titolari del trattamento dei dati responsabili di violazioni ai danni dei cittadini interessati potranno avere evidenti implicazioni nei rapporti tra i soci e gli amministratori quanto all’azione di responsabilità oltre che per l’immagine societaria.

L'aspetto più dirompente delle nuove norme sulla privacy riguarda le aziende, che potranno rispondere anche ai sensi del D.Lgs. 231/2001 “responsabilità degli enti” se non adottano misure per prevenire i reati da illecito trattamento dei dati personali aggiornando per tempo i modelli organizzativi rilevanti ai fini della verifica giudiziaria come elementi di fatto scriminanti.

In vista della prossima scadenza lo Studio Legale De Valeri – De Grazia, operativo nel settore privacy da oltre vent’anni, ha ideato “G.D.P.R. Legal Check-up Advice” un servizio professionale mirato che prevede, con la collaborazione del titolare del trattamento, un primo esame delle problematiche “privacy” per poi ricevere un’ analisi preventiva per l’adeguamento al nuovo Regolamento UE attraverso un software messo a punto dall’avv. De Grazia che analizza la compliance aziendale in relazione alle prescrizioni del GDPR, il D.Lgs n.231/2001 e la normativa ICT Law italiana valutandola con una connessione incrociata con le normative ISO 27001:2016 e ISO 29151:2017.

Ricordo che la recente introduzione della normativa sul c.d. “whistleblowing”,  la legge 179/2017, i nuovi reati di xenofobia e razzismo, “procurato ingresso illecito di stranieri e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, “favoreggiamento della permanenza illecita di stranieri nel territorio dello Stato” richiedono l’aggiornamento dei modelli organizzativi.

Info diritto societario e privacy
studiolegaledevaleri@hotmail.com