“Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace”.
Le parole di speranza di Papa Francesco risuonate il 5 novembre durante la celebrazione nella basilica di San Pietro in occasione del giubileo dei carcerati colpiscono il cuore di chi pensa di aver sbagliato almeno una volta nella propria esistenza e nessuno, credo, può sentirsi escluso da questa riflessione.
Mi piace partire dalle parole del Pontefice per introdurre l’argomento della giustizia riparativa.
Il diritto romano prevedeva la “actio in integrum restitutio” con la quale poteva ripristinarsi lo status quo ante eliminando gli effetti del contratto viziato dalla coercizione della volontà della parte danneggiata.
Il principio, tuttora applicato nell’ordinamento italiano all’art. 2058 del codice civile “risarcimento in forma specifica”, consiste nel mettere il danneggiato nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato. La giustizia riparativa è strettamente legata alla ratio di questo istituto del diritto pretorile romano.
La realizzazione del modello di giustizia riparativa pone in primo piano l’autore del fatto criminoso e i danni provocati alla vittima del reato, si propone l’eliminazione delle conseguenze del reato mediante l’attività riparatrice posta in essere da costui.
Al centro dell’attenzione si trova il soggetto che ha commesso il reato al quale viene proposto di rimediare alla sua condotta criminosa e ai danni causati alle vittime.
Al centro dell’attenzione si trova il soggetto che ha commesso il reato al quale viene proposto di rimediare alla sua condotta criminosa e ai danni causati alle vittime.
Egli diventa un soggetto attivo e non più un mero destinatario di una sanzione per la condotta contra legem che ha tenuto nei confronti di singoli individui o della collettività.
La riparazione si concretizza mediante la restituzione in forma specifica del maltolto, il risarcimento del danno in forma pecuniaria o l’esecuzione di prestazioni in favore della vittima o di un servizio utile in favore della collettività.
Il concetto riparativo si differenzia nettamente dal concetto retributivo di giustizia per cui sono previste pene certe e proporzionate alla gravità del reato sancite dal legislatore mediante un codice di leggi mentre, riteniamo possa avere in comune l’intento, con il concetto riabilitativo di giustizia, che persegue lo scopo di riadattare il colpevole alla vita sociale al fine di evitare la reiterazione del reato, la recidiva.
La giustizia riparativa non è semplicemente una alternativa alla giustizia retributiva o rieducativa ma è una modalità di intervento sulla conflittualità sociale.
Gli intenti primari sono promuovere la riconciliazione tra vittime e colpevoli e favorire la riparazione del danno, ove possibile, da cui far derivare per la collettività un miglioramento del senso di sicurezza nella vita quotidiana e l’attenuazione dei conflitti sociali.
Il principale strumento operativo della giustizia riparativa è la mediazione tra l’autore del reato e la vittima.Le tecniche della mediazione penale permettono di passare da una situazione di conflitto ad un possibile riavvicinamento tra le parti e la presenza di una terza parte neutrale è fondamentale per facilitare il dialogo tra la vittima ed il reo in funzione della soluzione dei problemi derivanti dalla commissione del reato.Il reo verrà aiutato a comprendere la gravità del gesto compiuto e le relative conseguenze, la vittima a superare la propria sofferenza aprendosi nella condivisione di fronte a chi, pur non direttamente, l’ha causata.
La vittima, che spesso avverte la necessità di trovarsi di fronte a chi ha commesso il reato per chiederne ragione e motivazioni, assurge a protagonista dell’incontro come il reo.
Nel sistema italiano la persona offesa ha il ruolo di informare l’autorità giudiziaria nelle ipotesi di reati perseguibili a querela e può diventare un testimone fondamentale nel processo ma i suoi interessi sono presi in considerazione solo marginalmente.
Intento della giustizia riparativa è riconsiderare la vittima e metterla al centro dell’azione ristorativa favorendo la riconciliazione tra le parti.
In Italia questi principi sono stati assunti dall’Associazione Prison Fellowship Italia Onlus, nata nel 2009 in occasione della Conferenza nazionale Animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo, dall’esperienza statunitense dell’organizzazione mondiale Prison Fellowship International che, a partire dal 1976 ha dato il via ad una missione di recupero dei detenuti, anche attraverso l’evangelizzazione delle carceri.
L’organismo internazionale ha dato risposta al crescente affollamento delle carceri in cui spesso di verificano episodi di violenza, difficoltà di condivisione di spazi il più delle volte inadeguati, finendo con il diventare concausa di azioni esasperate degli stessi detenuti.
L’Associazione (www.prisonfellowshipitalia.it) presieduta dal notaio Marcella Reni non ha scopo di lucro e si sostiene con le libere donazioni e opera grazie ad alcuni volontari, preparati attraverso corsi di formazione realizzati insieme a Prison Fellowship International, ha sviluppato e porta avanti concretamente il progetto Sicomoro.
Il progetto Sicomoro deve il suo nome all’episodio nel Vangelo di Luca (Lc. 19, 1-9), in cui l’evangelista racconta l’incontro tra Gesù e Zaccheo che, nascosto tra i rami del sicomoro, guarda passare Gesù credendo di non essere visto, ma viene scorto e riconosciuto da Gesù stesso che lo chiama per nome. Il riconoscimento di Zaccheo è il punto cardine di questo passo e avviene attraverso Gesù che si manifesta agli uomini, nessuno escluso, anche chi si è posto contro la legge di Dio e i volontari del progetto secondo questo esempio realizzano un percorso di riqualificazione della dignità umana che può portare benefici alle vittime, ai trasgressori, al sistema di giustizia penale, alla comunità.
Il Progetto Sicomoro punta ad un inserimento nella realtà carceraria che parte dalla condizione di uomo del detenuto a cui offrire una possibilità di riscatto e reinserimento nella comunità civile.Vittima e carnefice sono messi a confronto, dopo una fase di ricerca e discernimento sulla scelta dei soggetti con cui portare avanti il progetto, in un percorso di reciproca immedesimazione e conoscenza, attraverso una riabilitazione dei detenuti cui si accompagna in concreto la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime.
Il Progetto Sicomoro punta ad un inserimento nella realtà carceraria che parte dalla condizione di uomo del detenuto a cui offrire una possibilità di riscatto e reinserimento nella comunità civile.Vittima e carnefice sono messi a confronto, dopo una fase di ricerca e discernimento sulla scelta dei soggetti con cui portare avanti il progetto, in un percorso di reciproca immedesimazione e conoscenza, attraverso una riabilitazione dei detenuti cui si accompagna in concreto la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime.
Il progetto Sicomoro è organizzato come un percorso a tappe, con fasi di analisi e passaggi di crescita a cui si giunge dopo aver fatto propri i vari obiettivi di volta in volta raggiunti. Le otto sessioni, cui partecipano due facilitatori e un numero uguale di vittime e di detenuti, prevedono ognuna un tema affrontato e dibattuto a partire dalla Parola di Dio e da esempi concreti e semplici tratti dalla vita quotidiana.
Lo scopo primario del progetto è il recupero morale dell’autore del reato e la possibilità per le vittime di sanare le ferite ricevute aiutandole a superare la “schiavitù” generata dal rancore, spesso dall’odio e dal desiderio di vendetta preparando la via che porta al perdono.
In Italia il progetto è applicato da diversi anni con risultati del tutto positivi in vari istituti tra cui il carcere di Opera a Milano, la Casa circondariale di Rieti e nel carcere di Tempio Pausania ed è tuttora in fase di programmazione per l’anno 2017.
Luigi De Valeri
studiolegaledevaleri@gmail.com
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