“Salute e sicurezza sul lavoro:
case histories dalla recente
giurisprudenza”.
Abstract della relazione dell’Avv. Luigi De Valeri tenuta a Roma il 18
giugno 2012 nel corso della I° Convention di Federcongressi & Eventi, delegazione Abruzzo & Lazio.
E’ opportuno inizialmente fare
riferimento alla norma di chiusura del sistema approntato dal legislatore a
tutela del lavoratore applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato che
impone precisi obblighi al datore di lavoro.
L’art.
2087 del codice civile stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro.”
Questa norma, integrata dalle
disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da
leggi speciali, impone all’imprenditore l’adozione di misure necessarie a
tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori, si applica anche al
committente tenuto a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche
non dipendenti, ove si riservi i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da
eseguire (Cassazione n.4129/2002).
Il datore
di lavoro, la cui responsabilità derivante dall’obbligo di sicurezza ex
art. 2087 codice civile è di natura contrattuale, in tal modo viene costituito garante
dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei
lavoratori con la conseguenza che ove non ottemperi agli obblighi di tutela
l’evento lesivo gli viene imputato ex art. 40, 2°comma codice penale “non impedire un evento che si ha l’obbligo
giuridico di impedire equivale a cagionarlo.”
Egli ha il dovere di accertarsi che
l’ambiente di lavoro abbia i requisiti di legalità quanto ai presidi
antinfortunistici e a vigilare costantemente che le condizioni siano mantenute per tutto il tempo in cui è
prestata l’opera (Cass. Sezioni unite
5/1998).
Passiamo ora alle principali leggi
speciali in materia di salute e sicurezza sul lavoro: il D. Lgs. 626/1994, modificato dal
D.Lgs. 242/1996 è stato integralmente trasfuso nel D. Lgs. 81/2008 il Testo Unico, integrato poi dal D. Lgs.
106/2009.
L’art. 2 del Testo Unico prevede le
definizioni dei vari soggetti interessati dalla normativa antinfortunistica e
tra questi mi soffermerò brevemente sulle peculiarità del datore di lavoro, del dirigente e del preposto.
Il datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro o
quel soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione aziendale che dirige
o dell’unità produttiva su cui esercita i poteri decisionali e di spesa per cui
ha l’effettivo potere di incidere sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Gli obblighi di competenza
del datore di lavoro, previsti
dagli artt. 17 e 18, sono svariati e, tra gli altri, l’organizzazione del servizio di
prevenzione e protezione, la redazione del documento
di valutazione dei rischi presenti negli ambienti lavorativi, la nomina del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (R.S.P.P.).
Il dirigente è quella persona che in ragione delle comprovate
competenze professionali e dei poteri gerarchici adeguati all’incarico
conferitogli rende operative le direttive del datore di lavoro organizzando
l’attività lavorativa ed effettuando i relativi controlli.
Il dirigente, in sostituzione del
datore di lavoro, può designare il medico competente, provvede all’individuazione
dei lavoratori addetti all’esecuzione delle misure antincendio, di primo
soccorso e di salvataggio in generale, la dotazione al personale dei dispositivi di sicurezza individuale
(D.P.I), cura l’obbligo di mettere i lavoratori in condizioni di ricevere
informazione, formazione e addestramento, il monitoraggio degli eventuali
cambiamenti che riguardano le unità produttive e l’adeguamento delle misure preventive
a tutela dei lavoratori.
Il preposto alla sicurezza è definito dall’art. 2 del Testo Unico come
colui che sulla base delle competenze professionale acquisite, coordina e
controlla il regolare svolgimento delle attività lavorative assicurando la
realizzazione delle direttive ricevute grazie al potere funzionale di cui è
dotato.
Quando il datore di lavoro decide di
organizzare la sua attività prevedendo alcune funzioni aziendali sovra ordinate
ad altre genera automaticamente la figura del preposto o del dirigente ovvero
colui che nell’attività lavorativa esercita una supremazia su altri a lui
sottoposti, su questa figura il legislatore fa ricadere la qualifica di preposto
ai sensi dell’art. 299 del Testo Unico.
Come risaputo in azienda non si usa il
termine “preposto” ma nell’organizzazione
produttiva si parla di: caporeparto,
caposquadra, capocantiere, capoturno, coordinatore, supervisor o team leader.
Tutte
queste figure sono da considerarsi preposti, costoro sono dipendenti
presenti in ogni settore lavorativo con mansioni di preminenza su altri
lavoratori e ne determinano le modalità operative, sono i più vicini ai
lavoratori e ne conoscono tutte le attività e i rischi ad esse collegate.
I giudici hanno attribuito la funzione
di preposto in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro facendo
riferimento alle mansioni effettivamente
svolte in azienda al di là di una qualificazione giuridica.
La Cassazione
penale con la sentenza n. 1502/2010
ha precisato che il preposto, come il datore di lavoro e il dirigente, è un
soggetto cui competono poteri originari e specifici, differenziati tra loro e
collegati alle funzioni ad essi demandate, la cui inosservanza comporta la
diretta responsabilità del soggetto iure
proprio, per cui il preposto è chiamato a rispondere a titolo diretto e
personale per l’inosservanza di obblighi che allo stesso fanno capo.
I
preposti, i cui obblighi sono indicati nell’art. 19 del Testo Unico, sono i
soggetti che sovrintendono all’espletamento delle attività soggette alla
normativa di prevenzione degli infortuni tuttavia va precisato che non spetta al preposto adottare misure di
prevenzione ma far applicare quella predisposte da altri intervenendo con le
proprie direttive.
Il sovrintendere richiede un requisito
preliminare ovvero il possesso di una
supremazia riconosciuta sugli altri lavoratori, infatti il preposto è stato
definito da Cassazione n. 760/91 come
chiunque si trovi in posizione tale da
dover dirigere e sorvegliare l’attività lavorativa di altri operai ai suoi
ordini.
Anche prescindendo da una investitura
formale da parte del datore di lavoro nella posizione di preposto con
attribuzione dei compiti e delle responsabilità il preposto anche di fatto sarà
comunque obbligato a rispettare e a far rispettare ai lavoratori la normativa
antinfortunistica (art. 299 del Testo Unico “esercizio di fatto di poteri direttivi”).
Quindi in caso di mancata osservanza
delle misure di sicurezza da parte di uno o più lavoratori il caporeparto non
può limitarsi a rivolgere benevoli richiami ma deve informare il datore di
lavoro o il dirigente legittimato a infliggere richiami formali e sanzioni a
carico dei dipendenti riottoso (Cassazione
penale n. 10272/90).
Il
preposto deve effettuare il controllo dei lavoratori per verificare il rispetto
delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro, l’utilizzo corretto
dei dispositivi di sicurezza individuali e degli strumenti necessari per
svolgere le singole mansioni.
Il preposto deve vigilare sulla
presenza di rischi imminenti per i lavoratori, deve dirigere le operazioni di
evacuazione in caso di pericolo grave ed immediato e vigilare sulla
partecipazione periodica ai corsi di formazione in materia di salute e di
sicurezza sul lavoro.
Il preposto in particolare deve, ai
sensi dell’art. 19 del Testo Unico, richiamare ogni singolo lavoratore
all’osservanza degli obblighi di legge in materia di prevenzione.
Egli dovrà far osservare le
disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e
proprie, ai fini della protezione collettiva e individuale, far utilizzare
correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi,
i mezzi di trasporto nonché i dispositivi di sicurezza, verificare che ogni
lavoratore provveda a segnalare immediatamente al datore, al dirigente o al
preposto, le deficienze dei mezzi e dei dispositivi e qualsiasi condizione di
pericolo di cui vengano a conoscenza adoperandosi direttamente, in caso di
urgenza, nell’ambito delle proprie competenze per eliminare o ridurre le
situazioni di pericolo grave dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S.).
Ricordo che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, già presente nel
decreto 626/94 ora all’art. 2 del Testo Unico, è una persona eletta o designata
per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e
della sicurezza durante il lavoro, non può essere né il datore di lavoro né il
R.S.P.P., deve essere eletto tra i dipendenti a tempo indeterminato, le sue attribuzioni,
tra cui in primis la consultazione preventiva in ordine alla valutazione dei
rischi in azienda, sono indicate nell’art. 50 del T.U.
Tornando al preposto dovrà anche
controllare che ogni lavoratore non proceda a rimuovere o modificare senza
autorizzazione i dispositivi di sicurezza, controllare che ogni lavoratore non
compia di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro
competenza che possano compromettere la sicurezza propria o di altri
lavoratori.
L’art. 56 del Testo Unico stabilisce le
sanzioni per il preposto che violi le suddette prescrizioni ovvero l’arresto da
uno a tre mesi o l’ammenda che può arrivare fino ad euro 2.000.
Altra figura professionale prevista
dall’art. 2 del Testo Unico è il responsabile
per la sicurezza e la prevenzione (R.S.P.P.) che, designato dal datore cui
risponde, è persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali indicati
all’art. 32 e coordina il servizio di prevenzione protezione dai rischi.
Dopo queste note introduttive passiamo
ai tre casi tratti dalla giurisprudenza,
si riferiscono a procedimenti conclusi nei primi mesi del 2012 dove la Corte di
Cassazione, giudice di legittimità, ha applicato le norme in materia di salute
e sicurezza sul lavoro come previste nel Testo Unico con ripercussioni sia in
sede civile giuslavoristica che in materia di accertamento di responsabilità
penali.
1)
La clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro se il datore di
lavoro non ha effettuato la valutazione dei rischi è nulla ed il rapporto si
considera a tempo indeterminato.
Cass.
Civile,sez. lavoro, 2 aprile 2012 n. 5241, rif. normativi D. Lgs. 626/96 art. 4, D. Lgs.
368/2001 art. 1 comma 2 e art. 3 lettera D, art. 1419, 2° comma, codice civile.
Il primo caso
riguarda un dipendente delle Poste
Italiane che aveva impugnato i contratti a termine stipulati per esigenze
sostitutive del personale deducendone l’illegittimità per la genericità della
causale sostitutiva, la mancata indicazione del nome dei lavoratori sostituiti
e perché stipulati nonostante il divieto di procedere ad assunzioni a termine
nelle sedi di lavoro dove non era stata effettuata la valutazione dei
rischi.
Sia il giudice
di primo grado che la Corte di Appello di Milano avevano respinto le richieste
del lavoratore che pertanto aveva proposto ricorso per Cassazione.
Il contratto di lavoro subordinato a tempo
determinato è regolato dal D. Lgs. 368 del 2001, come modificato dalla L.
247/2007 e da ultimo dal D. Legge 112/2008.
E’ consentita
l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro a fronte di
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo.
L’apposizione
del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente,
da atto scritto nel quale sono specificate le suddette ragioni.
L’art. 3 del D.Lgs. 368/2001 ha introdotto una
serie di divieti all’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato
e in particolare alla lettera D prevede il divieto per le imprese che non
abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche.
Per il
legislatore la valutazione dei rischi da parte del datore è presupposto di
legittimità del contratto a termine che, si ricordi, è l’eccezione per il
contratto di lavoro subordinato stipulato di regola a tempo indeterminato.
La valutazione
del legislatore deriva dalla più intensa protezione del lavoratore nei
contratti atipici, flessibili o a termine dove vi è la minore esperienza con
l’ambiente di lavoro e gli strumenti di lavoro, nonché una minore
professionalità e formazione.
L’obbligo di
sicurezza verso i lavoratori con minore esperienza è rafforzato dal disvalore
evidenziato dal legislatore verso gli inadempimenti in tema di sicurezza dei
luoghi di lavoro che si concretizza nel divieto di stipulare contratti a
termine per il datore che non abbia effettuato la valutazione globale e
documentata di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori
presenti nella propria organizzazione.
Quindi il datore se vorrà evitare la declaratoria
di nullità di apposizione del termine per questo specifico inadempimento dovrà
dimostrare di aver svolto prima della stipula del contratto una adeguata
valutazione dei rischi.
Nel caso
esaminato i giudici della Cassazione hanno rinviato la causa ad altro giudice
del merito della stessa Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che
nel decidere dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “la clausola di apposizione del termine al
contratto di lavoro da parte delle imprese che non abbiano effettuato la
valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 626/1994 e succ.
modificazioni, è nulla per contrarietà a norma imperativa ed il contratto di
lavoro si considera a tempo indeterminato.”
Il giudice di
merito deve verificare la sussistenza del presupposto indicato dall’art. 3 lettera D del D.Lgs. 368/2001 da cui deriva la
legittimità o meno del termine apposto nel contratto di lavoro.
2)
La responsabilità dei committenti. Reato di omicidio colposo.
Cassazione
penale IV, 30 gennaio 2012 n. 3563, rif. normativi art. 589 codice
penale, art. 26 T.U. D. Lgs. 81/2008, art. 2222 codice civile.
Con la seconda sentenza passiamo in ambito di diritto penale.
Il caso in questione riguardava un lavoratore precipitato dall’alto di una
copertura di un fabbricato adibito a magazzino-garage nel corso di un contratto di prestazione
d’opera.
Il contratto
di prestazione d’opera è disciplinato dall’art.
2222 del codice civile e si
configura quando una persona si obbliga a compiere dietro corrispettivo
un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di
subordinazione nei confronti del committente.
Ai committenti-imputati era stato
contestato di aver omesso di verificare l’idoneità tecnico professionale del
lavoratore-prestatore d’opera, di non aver fornito a questi informazioni sui
rischi connessi alla precarietà della copertura e non avere predisposto
parapetti idonei ad evitare la caduta dall’alto.
I committenti, proprietari del
fabbricato dove era accaduto l’incidente mortale, erano stati condannati in
primo e secondo grado, in particolare la Corte di Appello di Catania nel
rilevare che l’infortunio si era verificato durante l’esecuzione del contratto
d’opera aveva evidenziato l’inadempimento agli obblighi di prevenzione in
materia di sicurezza sul lavoro che gravavano sugli imputati in quanto
committenti escludendo qualunque comportamento abnorme da parte della vittima.
La
responsabilità del committente è espressamente prevista dalle norme
in materia di sicurezza sul lavoro, l’art. 7 del D. Lgs. 626/94 è stato
trasfuso nell’art. 26 del Testo Unico.
Per i lavori svolti in esecuzione di
un contratto di appalto o di prestazione d’opera il dovere di sicurezza è
riferibile non solo al datore di lavoro ovvero l’appaltatore nel primo caso ma
anche al committente nel secondo caso.
Va tuttavia sottolineato, come fatto
rilevare dai giudici di legittimità, che non
può esigersi dal committente un controllo pressante e continuo sull’andamento
dei lavori.
E’ necessario l’esame della situazione
concreta per accertare l’incidenza della condotta del committente nel
verificarsi dell’evento, la specificità dei lavori da eseguire, i criteri della
scelta dell’appaltatore o del prestatore, la loro capacità tecnica che deve
essere proporzionata al tipo di attività commissionata, l’ingerenza o meno del
committente nell’esecuzione dei lavori e la percepibilità agevole di eventuali
situazioni di pericolo.
Ai fini dell’eventuale culpa in eligendo a carico del
committente rileva da parte di questi l’essersi accertato o meno delle capacità
tecniche ed organizzative del prestatore d’opera.
A seguito di ricorso in Cassazione la
sentenza è stata annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello
di Catania.
3)
La responsabilità del datore di lavoro ed il comportamento abnorme del
lavoratore vittima dell’infortunio mortale.
Cassazione
sez. penale, sentenza n. 11112 del 21 marzo 2012.
Rif. normativi: art. 589 codice penale,
art.18 Testo Unico.
Il terzo e
ultimo caso su cui mi soffermo è relativo ad un incidente occorso ad un operaio il quale si era messo all’interno
del perimetro del telaio di un autocarro con il cassone rialzato e, nello
smontare il raccordo del tubo idraulico, il cassone era caduto determinandone
la morte.
Erano stati
imputati del reato di omicidio colposo il datore di lavoro, amministratore di
una s.r.l., e un preposto cui veniva addebitato che per negligenza,imprudenza
ed imperizia e violazione di specifiche norme di prevenzione infortuni, ovvero
mancata informazione formazione del lavoratore sui rischi, omessa previsione
del rischio nel documento di valutazione, mancata manutenzione dell’autocarro,
assenza di un fermo automatico del cassone avevano causato la morte del
dipendente.
Entrambi erano
stati assolti in primo e secondo grado e pertanto il difensore delle parti
civili era ricorso in Cassazione.
Il lavoratore
era stato assunto formalmente come impiegato e non era investito in azienda di
specifiche funzioni, svolgendo diversi lavori manuali anche per la sfera
privata del datore, praticamente era un “tuttofare”.
La Corte di
Appello aveva assolto gli imputati a causa dell’anomalia della condotta della
vittima che aveva agito di sua iniziativa al di fuori di ordini e prassi
aziendali.
I giudici di
Cassazione, viceversa, partendo dalla circostanza che il lavoratore stava
svolgendo al momento del fatto mansioni diverse dalla qualifica di assunzione
come “operaio tecnico di cantiere”, hanno
considerato che qualora vi sia un cambio
di mansioni, possibile seppur con limiti per lo ius variandi ex art. 2103 del
codice civile, per il rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni vi è
l’obbligo per il datore di assicurare una adeguata formazione ed informazione
al lavoratore sui rischi della
diversa attività cui viene addetto (conforme a Cassazione sez. III, n. 4063/2007).
Nel caso in
questione era evidente la violazione di queste regole di prevenzione perché il
lavoratore assunto con una qualifica di impiegato tecnico di cantiere in realtà
era adibito alle più svariate mansioni non solo in azienda ma anche per le
esigenze personali del datore di lavoro.
Secondo i
giudici l’operaio svolgeva mansioni indefinite con mancanza di formazione e
informazione sui rischi.
L’esclusione
di responsabilità del datore da parte dei giudici di merito sulla base della
negligenza della vittima, che con il suo comportamento avrebbe posto in essere
una condotta da sola sufficiente a determinare l’evento, va riconsiderata
poiché il datore aveva tollerato che la vittima non avesse specifiche mansioni,
non aveva fornito formazione ed informazione e consentito che costui si
cimentasse nelle più svariate attività di lavoro, da ciò si evidenziava una
condotta omissiva colposa a suo carico.
I giudici di
Cassazione quindi hanno annullato la sentenza agli effetti civili limitatamente
alla posizione del datore di lavoro con rinvio al grado di appello, il preposto
è stato assolto in quanto non era stata provata la sua qualifica ovvero la
sovra ordinazione gerarchica rispetto al lavoratore deceduto.
Al termine di questa relazione ho
l’obbligo di ricordare che dal 23 novembre 2011 è in vigore il D.P.R. n.177 del 14.9.2011 recante il
regolamento relativo alle norme per la
qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti
sospetti di inquinamento o confinati.
Cosa si intende per “spazio confinato” ?
Nel Testo Unico, allegato IV punto 3,
è definito come un luogo/ambiente
circoscritto, totalmente o parzialmente chiuso che non è stato progettato o
costruito per essere occupato da persone né destinato normalmente ad esserlo ma
che all’occasione può essere impegnato per l’esecuzione di interventi come
l’ispezione, la manutenzione o la riparazione, la pulizia, ecc., gli spazi
confinati sono ambienti dove gli scambi naturali dell’atmosfera interna con
l’aria esterna risultano particolarmente ridotti.
Gli spazi confinati possono
configurarsi in tutti i luoghi di lavoro sotto o sopra il suolo e per essere
chiari vi rientrano le cisterne interrate,le fognature o condotte sotterranee,
serbatoi, pozzi di ascensori, montacarichi, celle di refrigerazione, piccoli
locali accessori, ecc.
I datori di lavoro sono chiamati ad
aggiornare il documento di valutazione dei rischi previsto dagli artt. 17 e 28
del Testo Unico, verificando se nella propria azienda esistono rischi derivanti
dall’accesso in ambienti confinati, il datore dovrà conservare nel
D.V.R. la dettagliata registrazione dei rilievi e delle verifiche eseguite con
le relative conclusioni per tali rischi.
Lo Studio Legale
De Valeri è a disposizione per ogni
chiarimento sui temi trattati e per un check-up in materia di salute e
sicurezza sul lavoro.
1 commento:
Veramente interessante la sua relazione e in particolare la sentenza della Cassazione che dichiara la nullità del contratto a termine se il datore non ha fatto la valutazione dei rischi è da far leggere a tanti datori che pensano di aggirare la legge sull'infortunistica a scapito dei lavoratori.
Luciano operaio pugliese
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